Ratbones – Report Canada Tour 2019

Il tempo per scrivere sul blog è davvero poco ma vista la recente esperienza in Canada e sotto suggerimento del buon Markez ho pensato che in fondo scrivere qualche riga sul recente tour dei Ratbones nel grande Nord può fornire informazioni utili ad altre band che sognano di varcare i confini europei e incuriosire qualche lettore.

 

INFORMAZIONI PRELIMINARI
Ma andare in Canada in tour è un casino come negli USA? Cari amici, assolutamente NO. O meglio, andare in tour è sempre un delirio se non c’è qualcuno che fa il lavoro sporco per voi ma almeno in Canada siete i benvenuti. Se per andare in tour in USA dovrete nascondervi come i criminali, cancellare ogni traccia dai social e sperare di non essere beccati in dogana, in Canada non ci sono affatto problemi per band di scappati di casa del nostro livello. Immagino sia un’altra storia se fai parte dei Rolling Stones, ma in fondo se stai leggendo questo articolo sicuramente non è il tuo caso.

VISTO
L’unica cosa di cui avrai bisogno è il visto chiamato ETA, molto simile all’ ESTA statunitense, solo che ha una maggiore durata e costa circa 7 dollari canadesi, se la memoria non mi inganna. Sul sito governativo del Canada, comunque trovi tutte le informazioni necessarie.

BIGLIETTO AEREO
Costa tanto? Se pensi di viaggiare ai prezzi di EasyJet o Ryanair sei fuori strada ma se organizzi bene te la cavi anche con una cifra onesta. Nel nostro caso, abbiamo comprato i biglietti 8 mesi prima e abbiamo speso circa 400 euro a testa, cifra più che onesta se consideri che abbiamo viaggiato con AirCanada, volo diretto Milano-Toronto di 9 ore e c’hanno ingozzato di cibo e bevande (“spremute d’arancia e bicchieri di cristallo“, cit.) no limits.

ASSICURAZIONE
La sanità nel Canada non è privata, ma spendere circa 100 euro e avere il culo super-coperto in caso di problemi di salute non è male. Ci sono molti siti che ti offrono pacchetti assicurativi vita + viaggio a prezzi interessanti. Noi abbiamo optato per la soluzione proposta da Expedia in fase di acquisto biglietto che tutto sommato abbiamo ritenuto onesta.

CONTATTI
Ed ecco qui il punto che forse interessa di più a tutti. Ma come hai fatto ad organizzare un tour così fico in Canada? No, car@ mi@, non ho organizzato proprio nulla ma hanno fatto tutto per noi i nostri amici! Ma c’è un grosso ma: negli ultimi anni (per pura casualità, giuro) ho organizzato tour in Europa solo per band canadesi che guarda caso sono tutte dell’Ontario e visti gli ottimi rapporti hanno deciso di invitarci a fare un giro dalle loro parti.
Questo invito è stata solo la logica consequenza di quanto fatto gli anni passati e se non ti è chiaro il concetto te lo spiego in maniera semplice e diretta: invita band che ti piacciono, spaccati il culo, mantieni buoni rapporti che alla fine se non sei uno stronzo le soddisfazioni arrivano anche per te.

DIFFERENZE
Ne ho notate 3 in particolare. 1) Orari: si inizia presto, il che a mio avviso è molto figo. 3) L’ordine delle band mi è sembrato di capire che non conta molto nè per chi suona nè per il pubblico. 4) I Teenage Head stanno al Canada, come i Ramones nel resto del Mondo: venerati divinità.

Dopo una panoramica piuttosto dettagliata parlerò adesso un po’ del nostro tour.

DAY 1 – This ain’t Hollywood, Hamilton
In realtà c’è un DAY 0, visto che i ragazzi sono arrivati la sera prima della partenza. Ma non c’è molto da dire al riguardo se non che eravamo super gasati per la partenza.Comunque, sveglia e colazione e verso le 9.30 ci dirigiamo verso Malpensa. Tra check-in, drop dei bagagli e controlli il tempo scorre davvero in fretta e senza rendercene conto ci ritroviamo in aereo pronti per la partenza. L’ultima volta che Jay ha preso l’aereo è stato nel ’92 per la finale di Coppa di Campioni della Sampdoria persa contro il Barcelona, potete immaginare quindi il suo nervosismo, tutto sommato contenuto in maniera matura.
Dopo un viaggio di ben 9 ore super tranquillo e senza niente di particolare da segnalare, ci troviamo finalmente a Toronto.
Nonostante la certezza di non aver nulla da nascondere c’è comunque un po’ di nervosismo per i controlli alla fine abbiamo dietro due chitarre, rullante, una 50 di t-shirts, circa 150 dischi e qualche preoccupazione è più che lecita. Invece i controlli filano lisci: in dogana veniamo sgamati subito di essere una band e insomma… gli sbirri super felici, ci augurano addirittura “BUON TOUR!“. Incredibile.
Ad attenderci all’esterno c’è Jeff, cantante-chitarrista dei NECK, che per i prossimi nove giorni sarà il nostro badante-driver-tour manager. E’ proprio bello incontrarci nuovamente dopo oltre due anni! Il tempo di un veloce saluto e ci dirigiamo verso il This Ain’t Hollywood per la prima data del tour.La serata prevede una scaletta interessante, oltre a noi ci sono le giapponesi Shonen Knife e i semi-locals Plasticheads. Se le nipponiche sono un nome noto a molti di voi, i Plasticheads invece sono un nuovo gruppo, una sorta di All Star Bands dell’Ontario con membri di Career Suicide, The Vapids, (ex) School Damage. Li seguo da un po’ ed ero molto curioso di vederli in azione.
Che dire dei Plasticheads… sono stati davvero incredibili: hanno letteralmente S-P-A-C-C-A-T-O! L’album d’esordio è già sold-out (io ho ancora un paio di copie), vi consiglio davvero di dare almeno un ascolto, non resterete delusi.
Le Shonen Knife, invece hanno fatto il loro concerto figo come sempre, in backstage abbiamo scambiato due chiacchiere e ovviamente avevano la faccia stanca di chi è in tour ormai da diverse settimane ma una volta sul palco tutte e 3 con un sorriso smagliante e via con il loro show come sempre fichissimo. Peccato non abbiano fatto Ramones Forever, uno dei miei pezzi preferiti.
Anche noi abbiamo fatto la nostra parte, certo la stanchezza del viaggio si è fatta sentire parecchio e il concerto mi è sembrato infinito ma il pubblico mi è sembrato molto soddisfatto. Addirittura c’era qualcuno sotto il palco che conosceva e cantava i nostri pezzi, che per una band come alla prima data di sempre in Canada è davvero tanta roba. Molto soddisfatti anche per le ottime vendite di merch a fine concerto scambiamo un po’ di chiacchiere con i locals e quasi tutti ci chiedono info sul Punk Rock in Italia, in particolare sui Manges. Si, perchè i temi ricorrenti dei nostri post-concerti a contatto con il pubblico saranno sempre due da qui in avanti: Punk Rock Raduno e Manges. Non male iniziare il tour con una data sold-out, vero?
Fine concerto, carichiamo il furgone e ci dirigiamo verso Toronto (circa 45 minuti di strada) per accamparci a casa di Curtis dei Plasticheads e dopo una buona pizza della buonanotte finalmente alle 3 (che per noi erano le 9 di mattina…) finalmente ci godiamo il meritato riposo.

DAY 2 – Bovine Sex Club, Toronto

Dopo un giro in centro città che comporta il primo di numerosi saccheggi di negozi di dischi, nel primo pomeriggio abbiamo l’appuntamento a casa di Brad degli School Damage, presto detto diventa una festa in famiglia: arrivano gli altri School Damage e arriva Jimmy Vapid, tanti amici e tante birrette in compagnia, godendoci all’aperto il primo fresco del lungo inverno canadese che attende i nostri amici.
Stasera si suona al Bovine Sex Club, il club ha fama di essere uno dei club migliori per la musica alternativa in città e l’idea è proprio quella di trovarci in un sorta di CBGB, le pareti piene di poster – dove neanche a dirlo primeggiano i Teenage Head – trasudano storia dandoci subito l’impressione di essere davvero in un posto unico e storico per la scena canadese.
Sono molto carico per la serata per due motivi in particolare il primo è che finalmente vedrò dal vivo i Vapids e il secondo è l’arrivo di un po’ di amici dagli Stati Uniti (!!!) tra cui Mr. John Proffitt di Mom’s Basements Records.
La serata inizia presto, e già per le 9 il locale è fottutamente pieno. Non poco, ma pieno pieno pieno ed ho subito la sensazione che sarà una serata memorabile.I primi a salire sul palco sono i Vapids. Adesso, non posso essere obiettivo nei loro confronti, Jimmy è il mio guru e Charm School Dropouts e The Point Remain The Same rappresentano l’ ABC del punk rock, così mi posiziono in primissima fila, birretta, ditino su al cielo e si canta. Non ho molte prove del concerto perchè Jimmy mi ha cazziato alla prima foto, posso dirvi però che è stato un concerto semplicemente meraviglioso: sia per la scaletta fighissima (anche se manca Satellite Debris che è uno dei miei pezzi punk rock preferiti in assoluto!!) sia per l’intensità. E per la compatezza mostrata sul palco non diresti mai di avere di fronte una band che non prova da anni. Come dire la differenza tra una band qualsiasi e una con i controcoglioni.
Tocca adesso a noi. Il concerto non inizia proprio benissimo, non avendo fatto il sound-check abbiamo qualche problema con la cassa batteria, non essendoci il tappeto inizia a ballare come Moyano durante un pezzo di Sfera Ebbasta ed ecco spuntare l’uomo del miracolo Beau Basement dei Suck che sale sul palco, si mette di lato la cassa e la tiene ferma per TUTTO il concerto. Ci ha salvato il culo e il concerto. Eroico.
Passati i disagi iniziali secondo me abbiamo fatto un bel concerto: momento top della serata è stata l’esecuzione di Bonerack dei Teenage Head con Jimmy come special guest per ringraziare un pubblico davvero fin troppo caloroso per le nostre abitudini. Dopo di noi gli School Damage. Prodotto in casa IBR l’ultimo album, son molto curioso di vederli all’opera con la nuova line-up, sostituire Curtis alle pelli non è mica facile ma mi bastano 5 minuti per capire che anche Dennis è un super batterista.
A chiudere la serata ci pensano i Real Sickies da Edmonton. Ammetto che non li conoscevo prima di aver scoperto che avremmo suonato insieme così dopo aver ascoltato attentamente il loro ultimo album Out Of Space capisco che rientrano nelle mie grazie. Concerto davvero fico, vi consiglio di ascoltarli perchè l’album è davvero bello.
Fine serata si chiacchiera e si fa amicizia con diversi locals (molti italo-canadesi!!) prima di rientrare a casa di Brad per il meritato riposo.

DAY 3 – Richmond Tavern, London
Il terzo giorno del nostro tour prevede la seconda data con i nostri fratellini School Damage, in compagnia dei local heroes Johnny Terrien And The Bad Lieutenants.
London dista solo due ore da Toronto, così prima di andare verso il Richmond Tavern, decidiamo di partire in anticipo per fare un “pit-stop” in una birreria artigianale di un amico di Jeff.
Che fossimo in anticipo, lo sapevamo ma ecco… non immaginiamo così tanto… così una volta arrivati al locale notiamo che prima della serata “punk” c’è una serata “country”.
Il Richmond Tavern è pieno di gente over 65 che si scatena in balli su canzoni un po’ improponibili per i miei gusti e… che conoscono solo loro. Insomma 5 punx al cospetto di un 70ina di simil cow-boys… sembra una scena degna di un film di Tarantino ma noi ci adeguiamo al contesto e ci godiamo il momento chiacchierando con i “locals” abbastanza incuriositi di vedere degli italiani, “musicisti” e che indossano tutti giacche di pelle.

Un vecchietto di ottant’anni mi invita a fumare erba con lui. Al mio rifiuto vengono preso per il culo e mi sottolinea quanto può essere bigotta l’Italia a considerare l’erba ancora una droga, posso biasimarlo?
Il concerto inizia molto presto e tocca ai Johnny Terrien And The Bad Lieutenants aprire le danze. I più attenti se li ricorderanno per uno split con i Ponches del 2012, in realtà suonano da circa 20 anni. Prima del tour ho ascoltato parecchio su Spotify il loro ultimo album “Half Wits” e me ne sono innamorato: punk rock scuola Ramones al 100%, 4/4 veloci, pezzi super catchy e downstroke da manuale. E dal vivo mantengono le aspettative. Che fighi cazzo!
Dopo è il nostro turno. Anche qui abbiamo fatto un bel concerto, forse il più convincente dei 3 fatti fino ad ora. Solita scaletta che porteremo avanti per tutto il tour al netto di piccoli cambi.
Mezz’oretta filata e poi tocca agli School Damage chiudere la serata. Il pubblico non è numerosissimo come nelle prime due date ma si fa sentire ed è super presente per tutte le band. Fantastico.
Chiuderei il report qui se non fosse per un post-serata davvero memorabile. Siamo ospiti a casa di Mike di Speed City Records, negozio di dischi ed etichetta punk rock di London.
Arriviamo a casa sua e ci ritroviamo nell’appartamento nel basement, praticamente la stanza dei sogni. 5 Flipper, 1 Juxe-Box degli anni ’60 e una parete di dischi punk rock.Ci rilassiamo e mentre mangiamo una pizza ( in Canada, devo dire che sanno farla discretamente bene!) ascoltiamo musica, Mike tira fuori un po’ di chicche tra cui un cd di demo dei Methadones con canzoni mai sentite prima e il disco proto “punk” dei Village People. Si, quei Village People, avete capito bene!!!!

DAY 4 – Recording Session at Jimmy’s, Courtice
In mattinata passiamo da Mike a vedere il suo negozio e letteralmente lo svaligiamo. Abbiamo trovato un sacco di chicche che in Europa avremmo pagato sicuramente il doppio. Almeno questa è la scusa per giustificarci per lo shopping selvaggio.
Comunque è un lunedì e piuttosto che suonare in culo ai lupi davanti a 3 persone, decidiamo di rendere proficua la giornata e optiamo per andare da Jimmy Vapid per registrare
qualche pezzo. Così dopo un accoglienza indescrivibile da parte di tutta la sua fantastica famiglia andiamo giù nel basement e registriamo 4 pezzi che prima o poi faremo uscire.Lo studio di Jimmy è super old-school: zero computer, si registra in presa diretta tutti insieme e se sbagli mezza nota si riprende dall’inizio visto che non c’è nessuna possibilità di correggere in post-produzione.D’altra parte noi siamo dei super professionisti, così dopo solo 232mila prove per ogni pezzo riusciamo a completare la sessione e goderci il resto della serata in compagnia, tra mille birrette, tante storie e tante ma tante risate. Una delle mie serate preferite del tour.

DAY 5 – OFF
Valido il principio di suonare solo quando effettivamente ne vale la pena, ci prendiamo il martedì per un sacrosanto day off. La giornata non prevede niente di particolare se non il trasferimento da Courtice a Ottawa e un pomeriggio intensivo di shopping per comprare qualche regalo per le nostre famiglie. Il resto della serata lo passiamo a bere birra nel lodge di Jeff, ascoltare dischi e chiacchierare.

Ed è stato fichissimo, perchè noi parlavano di dischi punk rock italiani sotto-valutati o poco noti e lui faceva lo stesso con mille band canadesi a noi sconosciute.

E’ il bello sta proprio nello scambio di informazioni per farci un po’ di cultura sulle band più underground e che mai e poi mai avremmo pensato di ascoltare.

DAY 6 – Vertigo Records, OttawaIl sesto giorno del tour prevede il primo dei due concerti a Ottawa, in un negozio di dischi. Si, son quelle cose un po’ impensabili dalle nostre parti ma che in Canada, a quanto pare, succedono con una certa frequenza.
Vertigo Records è un gran bel negozio di dischi nel centro città di proprietà di Darin, boss di Uncle D Records, l’etichetta che segue i nostri fratelloni dei NECK. Arriviamo presto per montare tutto e abbiamo tempo per lo spuntino pre-show: finalmente riusciamo ad assaggiare il poutine, piatto tipico canadese.Per chi non lo sapesse sono patatine fritte, con formaggio e salsa gravy (esiste anche la variante veg).
Comunque, il concerto prevede in scaletta solo noi e i NECK, inizio previsto per le 6pm: fantastico! Così dalle 5pm in poi il negozio inizia lentamente a riempirsi arriva qualche faccia familiare (Jordy dei Creeps) e rimango molto sorpreso nel vedere tanti curiosi per la nostra presenza. Concerto più che figo da parte di entrambe le band, la cosa più divertente era vedere le reazioni dei passanti: qualcuno si lamentava del “rumore”, qualcuno si fermava a scattare qualche foto… e qualcuno si è messo a ballare! Finito il concerto,
svaligiamo anche il negozio di Darin (finalmente ho recuperato il bubble-head di Joe Queer!) e per il post serata andiamo finalmente a visitare l’House Of Targ: il locale di Kevin, il batterista dei NECK. L’House of Targ è un locale situato leggermente fuori Ottawa, con circa 40 flipper, una marea di vecchi videogame e che serve pierogies fatti a mano. Insomma
il posto perfetto per concludere una splendida giornata in compagnia dei nostri amici canadesi.
Ad esibirsi una band jazz di nerd, che suona solo temi di videogame, che dire se non strepitosi! Se vi trovate dalle parti di Ottawa, vi consiglio vivamente di fare un salto al locale di Kevin, non resterete delusi.

DAY 7 – L’Esco, Montreal
Il penultimo concerto della nostra avventura canadese prevede una “trasferta” a Montreal, in Quebec. La serata prevede noi, School Damage, NECK e i local Bambies, a me totalmente sconosciuti prima del concerto insieme. Anche in questo caso dopo circa 3 ore di viaggio arriviamo in netto anticipo, un po’ perchè Jeff è un tour manager a dir poco scrupoloso e perfetto, un po’ perchè vogliamo sfruttare l’occasione per visitare un po’ la città.
Ovviamente, abbiamo visto poco ma da quei pochi passi fatti in città, Montreal mi è sembrata la città dal look più europeo del Canada. Peccato per il freddo (per noi polare) e per la pioggia battente che non ci ha fatto godere in pieno la visita.
Come è andato il concerto? Sincermente è stato da “giovedì sera”: c’era davvero poca gente (una 20ina di spettatori) ed è stato un peccato perchè penso che tutte le band abbiano suonato veramente molto bene. Ma alla fine un concerto fiacco su 6, credo possa essere una media più che accettabile per una band alla prima esperienza extra-europea. Se non li conoscete, date un ascolto anche ai Bambies che secondo me meritano. Finita la serata, restiamo un po’ a chiacchierare tutti insieme e verso l’una di notte ci mettiamo in guida per tornare verso Ottawa, arriviamo letteralmente distrutti a casa verso le 4 e crolliamo letteralmente dalla stanchezza. Trasferta sicuramente poco proficua, ma come sempre divertente quando si è in giro con NECK e School Damage.

DAY 8 – Dominion Tavern, Ottawa
Siamo giunti all’ultimo giorno del tour, sognavamo di far festa con i nostri amici e così è stato. Sorpresa delle sorprese, oltre a noi, NECK e School Damage si uniscono anche i Creeps. Insomma si conclude nel migliore dei modi la nostra avventura canadese con un ultimo concerto con le band con cui siamo stati in tour negli ultimi 3 anni.
C’erano TUTTI i nostri amici canadesi, c’erano i Crusades a gran completo, c’era Steve Adamyk e c’erano tutti le belle persone di Ottawa e dintorni che conoscevamo.Non so voi, ma per quando mi riguarda queste sono le cose che mi entusiasmano davvero nell’andare in tour: di diventare popolare in fin dei conti non me ne è mai fregato un cazzo.
Ed il concerto? Come è stato? A dir poco fantastico, ma in serate del genere ogni cosa per me diventa superflua.
Non ho parole per descrivere la gioia e la felicità per questa data.

THE END
L’ultimo giorno della nostra avventura nel grande Nord coincide con la nostra partenza. L’odg è abbastanza semplice: sveglia relativamente presto, colazione e poi in marcia verso Toronto. Mr. Jimmy Vapid fa la traversata Courtice-Ottawa per prenderci e accompagnarci in aeroporto per un viaggio complessivo di circa 4 ore intervallato da una pausa pranzo in un ristorante molto anni ’80 e di un rapido pit-stop nel negozio di dischi preferito di Jimmy a Courtice per fare ancora una volta un po’ di spesa: per lo più acquistiamo dischi oldies ’50-’70 soprattutto Elvis, Ventures, Beach Boys ecc ecc visti i prezzi super ridicoli.E’ passato più di un mese dalla fine del tour e i pensieri sono davvero ancora tanti, consapevoli di aver vissuto 9 giorni incredibili e di aver realizzato davvero un sogno.
Le persone da ringraziare sono davvero tante ma senza dubbio una menzione speciale la merita mr. Jeff per essere stato un tour manager/driver a dir poco fantastico e per aver fatto di tutto per rendere il nostro viaggio semplicemente perfetto. Special thanks anche a Jimmy e i Vapids, School Damage, il resto dei NECK, i Creeps, Darin, Mike, tutte le band che hanno diviso il palco con noi, nuovi e vecchi amici, chi è venuto ai concerti e chi ci ha supportato comprando il nostro merch.
Tirando le somme, andare in Canada in tour è fico e consigliato? Si, come detto prima, fatevi il culo in quattro, organizzate per gli altri e createvi le prospettive per fare un’ esperienza del genere.

The Fest 16 – 27/28/29.10.2017 (Gainesville)

Finito il Pre-FEST, c’è il cambio di location per l’evento principale, il FEST. Sveglia, colazione, e si parte: ci attendono circa due ore di macchina, risate e di paesaggi mozzafiato prima di raggiungere Gainesville. Rispetto a Miami o Little Ybor, la temperatura è decisamemente più bassa, pur restando piacevole.
Rapido check in albergo e si decide di andare subito verso il centro ad incontrare il resto del contingente italiano per andare al punto di accoglienza e fare una bella scorpacciata di dischi. I concerti del FEST ruotano attorno a una decina di locali situati nei pressi della Main Street cittadina, più lo stage principale situato all’aperto nella piazza dedicata a Bo Diddley.
Nonostante il pubblico presente sia aumentato esponenzialmente, anche al Pre-Fest l’ ingresso ai club è stato – nonostante i controlli direi ossessivi – quasi sempre immediato, rendendo l’attesa tutto sommato accettabile.

DAY 1

Teenage Bottlerocket @ High Dive – Nonostante la vastissima scelta di band presenti al Fest, uno dei miei chiodi fissi era vedere in tutte le salse possibili i Teenage Bottlerocket. La salsa del DAY 1, dice che i TBR suoneranno tutto TOTAL, mica cazzi. Mi presento puntualissimo all’ High Dive e prendo posizione: non troppo vicino alla calca, ma neanche troppo lontano dal palco. Non c’è alcun dubbio che TOTAL sia il loro album più bello e la loro performance è stata di livello, confermando le ottime impressioni dei giorni precedenti.

The Flatliners @ Bo Diddley Plaza – Band di punta del Mazzacore, i Flatliners hanno avuto l’onore di suonare nel main stage. Visti qualche mese fa a Milano, pur non essendo proprio nelle mie grazie devo dire che hanno fatto davvero un gran bel concerto: massicci, compatti e super-rodati per la gioia dei numerosissimi fan che affollavano le prime file. Non segnalo nessun momento top in particolare visto che non li conosco bene, ma il sorriso del Mazza-nazionale vale mille impressioni.

Hospital Job @ Bocafiesta/Palomino – In ottima forma. Passati dall’Italia recentemente, anche questa volta mi fanno una bella impressione. Ok, sembra un po’ di risentire le melodie dei Copyrights (chi scrive i pezzi alla fine è la stessa persona) ma con un’approccio più “zozzo”: portano comunque a casa dignitosamente un bel concerto. Bravi.

Snapcase @ Bo Diddle Plaza – Un tuffo nostalgico. Ricordo i pomeriggi da ragazzino a consumare Progression Through Unlearning, forse uno dei primi dischi a gettare le basi del filone (diventato poi una cagata) del metalcore. Il tempo passa, loro si son sciolti un paio di volte e sinceramente pensavo di trovarmi di fronte a una band “rammollita”. E invece cazzo, che botta! Hanno fatto un gran bel concerto, 40 minuti grintosi, sventolando in alto la bandiera dell’ old school. Bomba.

Hot Water Music @ Bo Diddle Plaza – Purtroppo loro sono stati una mezza delusione. Si presentano in formazione rimaneggiata vista l’inaspettata assenza di Chris Wollard (qualche giorno dopo è uscito il communicato dove lo stesso dichiara di aver bisogno di staccare la spina per un po’) e la band ne soffre tanto. La mancanza della seconda chitarra si fa sentire parecchio, facendo perdere un po’ di “tiro” alla band nonostante ce la mettano davvero tutta. A metà concerto c’è una piacevole incursione di Dan Andriano e poco dopo, a risollevare la situazione, spunta Chris Creswell dei Flatiners alla seconda chitarra. E la musica cambia decisamente. Peccato perchè in full line-up per tutto il concerto sarebbe stata un’altra storia. Sinceramente, credo che di più non potessero fare, spero di riverderli in una situazione differente visto l’amaro in bocca di un concerto un po’ monco.

88 Fingers Louie @ 8 Seconds – Mi avvio all’ 8 Seconds per evitare bagarre prima del conceerto dei Lillingtons, non particolarmente interessato al loro concerto. Nonostante ciò, sorseggiando l’ennesima PBR nello spazio all’aperto del locale, tendo l’orecchio verso il palco. Riconosco qualche pezzo vecchio ma anche diversi dall’ultimo Thank you for Being a Friend. Nessun entusiasmo particolare da parte mia, ma vedo tanta gente super-gasata, meglio così.

Sunshine State @ Durty Nelly’s – Gli 88 Fingers Louie non mi stanno entusiasmando, ho un piccolo buco e seguendo il consiglio del buon Max Rozzo si va a vedere i Sunshine State. Non li conosco minimamente, ma Max ci fa sapere che il batterista della band è Warren Oakes, storico ex degli Against Me!. Mi fa sorridere e riflettere, perchè penso al delirio di folla ad assistere agli AM! alla Bo Diddley Plaza e alle poche decine di persone presenti per loro, nonostante siano davvero molto bravi. Alla fine per suonare devi essere fortemente stimolato e soprattutto devi divertirti, se manca tutto ciò meglio fare un bel passo indietro e ripartire con entusiasmo e umilità dai piccoli club. Un’altra piccola piacevole sorpresa del Fest.

The Lillingtons @ 8 Seconds – In chiusura del mio primo giorno del Fest, ci sono ancora i Lillingtons e tocca di nuovo a loro farmi battere il cuoricino.

Non poteva concludersi in maniera migliore, davvero. L’ 8 Seconds adesso è imballatissimo, fa un caldo pazzesco ma riesco a ritagliarmi un angolino dove si respira e dove riesco a vedere benissimo tutto il palco. Salgono sul palco, partono con Drawing Down The Star e scatta di nuovo la magia. Emozioni allo stato puro, pezzo dopo pezzo. Ok, set praticamente identico a quello Pre-Fest, ma a questo giro hanno suonato molto ma molto meglio: precisi, dritti e meravigliosamente quadrati. A quanto pare li vedremo in estate da queste parti (!?!?).

DAY 2

Horrible Things @ Loosey’s – Il giorno 2 parte da questa band di Chicago. Durante il Pre-Fest avevamo conosciuto in albergo il bassista, Ryan, che ci ha parlato della sua band, dove suona tra l’altro il batterista degli Off With Their Heads. Visto che Ryan si dimostra super simpatico, vado a vederli e supportarli; devo dire che mi fanno una bella impressione. Ok, è quella roba che in USA viene chiamata anche “Midwest” (da noi è mazzacore) ma suonano molto bene e stranamente non sono pallosi. Promossi.

Teenage Bottlerocket @ Bo Diddley Plaza – Ed ancora una volta Bottlerocket! A differenza del DAY 1, lo slot era di ben 1 ora, oltre alla solita scaletta e qualche pezzo in più hanno dedicato molto tempo a sparare cazzate, e si sa che Ray quando si mette d’impegno è davvero un maestro. Pur mancando l’effetto sorpresa, nonostante Ray e Kody fossero un po’ in sofferenza con la voce, mi hanno gasato vista l’ottima prestazione: chi ha già visto almeno una volta i TBR sa cosa intendo.

Off With Their Heads @ Bo Diddley Plaza – Anche gli OWTH erano tra i gruppi che maggiormente mi interessava vedere. Avevo il timore che potessero soffrire il palco grande, e invece tengono botta alla grande. Scaletta e copione intendico al Pre-Fest: Clear The Air e Ryan a cantare in mezzo al pubblico. Top.

Beach Slang @ Bo Diddley Plaza – Il clima inizia ad essere meno mite ma visto l’inverno che mi attenderà a Milano, sono dell’idea che restare all’aperto è ancora l’opzione migliore. Riparto quindi dai Beach Slang in Bo Diddley Plaza, e me li rigusto volentieri. Come quasi tutte le band, che suonano più volte tra Fest e Pre-Fest, non colgo grosse differenze nella scaletta pur non conoscendoli: stesse battute, stesse gag (vedi gli stacchetti con i pezzi di Santana), tuttavia la loro performance mi piace anche questa volta, e rientrano a mani basse tra le migliori band viste in questa lunga maratona musicale.

BOIDS @ Durty Nelly’s – Decido di andare a vedere i canadesi BOIDS (nome super-nerd, complimenti) della Stomp Records (Isotopes, Real McKenzies ecc) perchè tempo fa avevo scambiato due chiacchiere con il cantante per fare qualche data in Italia; ricordo che mi era sembrato molto simpatico, peccato non riuscii a concretizzare (mai fare tour in Italia in estate: ragazzi è una regola). Hanno la sfiga clamorosa di essere in contemporanea con gli Against Me! ritrovandosi così a suonare davanti a una decina di persone. Ed è un peccato, perchè nonostante le troppe cazzate sul palco, fanno un bel concerto. La band è valida e i pezzi hanno quel retro-gusto un po’ alla Ramones e un po’ HC che non sono niente male. Sfigati.

The Penske File @ Bocafiesta/Palomino – Già visti qualche anno fa a Milano, ma sinceramente non ho un ricordo vividissimo di quella serata infrasettimanale al Blue Rose. Visto che prendono bene a tutti, decido di seguire la compagnia e vado a vederli anche io. Non mi entusiasmano particolarmente, ma non mi lasciano neanche indifferente. Son super rodati visto che son sempre in tour e si vede; saltano, cantano, urlano e si dimenano: la mia parrocchia è differente, ma sanno il fatto loro. Li rivedremo presto in Italia con il buon Matt Gyver ad accompagnarli in tour.

Career Suicide @ 8 Seconds – Qualche giorno prima di partire per la Florida il mitico Jimmy Vapid mi manda una mail: “Mi raccomando vai a vedere i Career Suicide, sono dei miei amici e spaccano”. Salvo il memo nell’app ufficiale del Fest, onestamente con non molta convinzione nonostante di Jimmy ci si può fidar ciecamente. Per chi come me non li conoscesse, i CS sono un gruppo hardcore old-school canadese con i controcazzi ( mi ricordano vagamente i Circle Jerks e perchè no, anche gli Off!)  che ha girato mezzo mondo e pubblicato una miriade di album e singoli. C’era davvero tanta gente a vederli: cinque secondi dopo che salgono sul palco scatta il pogo selvaggio, circle pit infernale e io fuggo mantenendo la distanza di sicurezza. 40 minuti di set super energico a dimostrare che il saggio Jimmy non sbaglia mai un colpo. Grazie.

The Dopamines @ High Dive – Vincono a mani basse il premio “Live più divertente del Fest”. Potrebbe concludersi così questa micro-recensione, chi conosce la band sa cosa aspettarsi. Visti diverse volte negli ultimi tour europei e il loro trucco è semplice : prima del concerto si sbronzano da far schifo e quando son ridotti come le merde iniziano a suonare. Facile, no? Anche questa volta la loro tecnica funziona strepitosamente, sarà stato anche grazie a una scaletta tipo best-of ma l’High Dive sembrava proprio stesse per esplodere. Non suonano certamente bene per loro stessa ammissione, ma il punk rock è anche questo, no? Fantastici. Guardare questo video per credere.

DAY 3

Squirtgun (Cover Set) @ High Dive – Anche il terzo giorno inizia prestissimo, la stanchezza inizia a sentirsi – 7 giorni di fila di concerti inclusi i Pre-Pre-Fest unofficial  – ho le ginocchia di un 90enne e stare in piedi a lungo è una tortura, ma ci sono gli Squirtgun con una lineup d’eccezione: Jorge Orillac (giovanotto di Panama), i fratelli Mass e Flav Giorgini, Zac Damon e un certo Dan Panic. Insomma vale la pena soffrire un po’. Nella prima delle due esibizioni previste, gli Squirtgun hanno eseguito solo cover pescando dalle milioni di band in cui anno militato o contribuito in qualche maniera (Screeching Weasel, Queers, Common Rider, Riverdales, Mopes, Zoinks ecc ) insomma per un mezzo pesce fuor d’acqua come me è stata una benidizione iniziare così la giornata. Conservo gelosamente la setlist, rubata a Flav Giorgini. Fine concerto ci avviciniamo al loro banchetto e abbiamo modo di scambiare due chiacchiere con Mass che oltre a dimostrarsi simpaticissimo e cordiale, sfodera un italiano praticamente perfetto.

Mean Jeans @ Bo Diddley Plaza – Mi perdo i Murderburgers e faccio in tempo a vedere gli ultimi pezzi dei Vacation Bible School (fighissimi) all’High Dive prima di dirigermi verso Bo Diddley Plaza per vedere i Mean Jeans, gruppo che aspettavo con tanta voglia. L’attesa non ha deluso, band davvero incredibile. Fanno i cazzoni, forse fin troppo, ma si divertono e fanno divertire il pubblico sempre più numeroso. Pescano a giro dalla loro discografia intervallata con dei jingle che stanno componendo per ottenere un “contratto”. Al momento del Fest, hanno tentato con la Mountain Dew (che apparentemente ha ringraziato ma dato picche). Grandissimi, speriamo di rivederli presto.

Into It. Over It @ The Wooly – Non avevo idea di chi fosse, ma a volte ascoltare i suggerimenti degli amici non è così male. Ci dirigiamo verso il locale e noto una fila disumana all’ingresso (unica volta praticamente in tutto il Fest) e dopo circa 25 minuti d’attesa riusciamo finalmente ad entrare: birretta e sale sul palco un ragazzo dalla faccia pulita che ispira già simpatia. Prende in mano una chitarra acustica e tra un racconto e l’altro esegue i suoi brani, molto melodici, ma con un chiaro background punk. Cazzo, che bravo! Locale pienissimo e dico anche meritamente. Da approfondire.

Iron Chic @ Bo Diddley Plaza – Giuro. Ci ho provato a dargli una chance, ma non ce la faccio, davvero. Seconda volta che li vedo e seconda volta che mi annoiano da morire. Per carità suonano anche bene ma, come nei dischi, mi sembra di ascoltare sempre la stessa linea vocale e la stessa melodia over and over. Mi sembrano spompi e deludono non solo me – che di certo non sono un fan – ma anche molti amici che li aspettavano con ansia. Vedo comunque tanta gente presa bene che canta e si esalta, e a me va bene così.

Squirtgun @ High Dive – Dopo un pomeriggio passato a girovagare per Gainesville saltando da un concerto all’altro, si ritorna all’High Dive per rivedere gli Squirtgun, questa esibizione prevede in scaletta solo brani loro. Allergic to You, Another Sunny Afternoon, Burn For You, Mary Ann ecc ecc fino a un inaspettato momento: sale sul palco Luke dei Copyrights, e Panic passa al microfono per Guestlist. Momento di delirio generale e sento i brividi. Non so neanche perchè, però vederlo così preso bene, forse pensando ai bei momenti sul palco con gli SW, mi mette davvero di buon umore. Chiusura con Social e tutti al bar, super sorridenti. Gran bel concerto, anche a questo giro!

The Copyrights @ High Dive – I Copyrights sono praticamente gli ultimi “big” rimasti. Visto che sono dei beniamini per il popolo del Fest, l’High Dive è ormai pieno all’inverosimile. Tutto il mondo è lì, spintoni, caldo asfissiante e mancanza di ossigeno mi spingono a guardare il concerto solo a tratti per poter rifiatare. Mi dispiace perchè per quello che sono riuscito a sentire ( pezzi presi da un po’ tutta la discografia) hanno fatto davvero un gran concerto. In fondo li ho visti diverse volte in Italia e Spagna e non sono particolarmente afflitto; ci sarà occasione di rivederli presto, ne sono sicuro.

I Like Allie e Red Car Burns @ Loosey’s – Siamo al mio amato Ligera oppure in Florida? Una bella coincidenza (?) fa in modo che a chiudere il “mio” Fest ci siano due band italiane di amici, oserei dire “locals”. Gli I Like Allie li seguo ormai dall’inizio e dopo aver avuto modo di dargli una mano nella pubblicazione dell’album è una piccola soddisfazione poterli vederli anche in questo contesto. I RCB invece li ho visti più in USA (3 volte in 7 giorni) che in Italia; in questi giorni trascorsi insieme ho avuto modo di conoscerli un po’ meglio e di apprezzarli anche nell’ambito musicale. Le loro performance? Sinceramente nel contesto che si era creato al Loosey’s è stato un aspetto secondario, c’era un atmosfera unica, eravamo tutti amici, tutti insieme felici per il momento ma con il cuore un po’ triste e consapevole che il Fest e la vacanza erano giunti alla fine.  Sicuramente uno dei miei momenti preferiti di tutta l’avventura.

Considerazioni sparse:

    • Son davvero necessarie 400 band in 5 giorni? Dico forse. E’ vero, c’è un ampia scelta ma ci sono anche tante fastidiosissime sovrapposizioni anche per chi come me aveva “poche preferenze”. Ed è sempre un dilemma scegliere.
    • Mmm.. ha molto senso vedere 4 giorni di fila la stessa band?
    • Odio fare l’italiano a tutti i costi ma la fame e la fretta mi portava spesso a mangiare una pizza al volo; non capirò mai perchè in Florida devono caricare il pomodoro con zucchero, una montagna di pepe nero e il peperoncino.
    • Dei ragazzi di Cincinnati, mi raccontavano che quando i Dopamines suonano in casa pochissima gente va a vederli. Erano un po’ sbronzi quindi poco attendibili ma mi chiedo: Coincidenza o Nemo propheta in patria ?

Mi rendo conto di aver scritto davvero tanto, se stai leggendo e sei arrivato fino in fondo, tanta stima per te e grazie per la pazienza. Ho cercato di riassumere il più possibile, spendendo due parole per ogni band vista e spero di essere riuscito anche in minima parte a rendere l’ idea di cosa è davvero il Fest. E’ stata una bella esperienza e nonostante lo scetticismo iniziale ammetto di essermi divertito. E’ stato bello vedere anche tanti amici, conoscere persone valide, vedere tante ottime band e scoprirne altrettante interessanti.
Esperienza da rifare? Non lo so, di sicuro mi sento di consigliarvi di andarci almeno una volta nella vita!

Big Pre-Fest 5 – 25/26.10.2017 (Little Ybor)

Mi trovo in aereo, stanco, mezzo influenzato e mi toccano ben 10 ore d’aereo prima di rientrare in Italia. Decido che per ammazzare il tempo posso scrivere due righe sul Big Pre-Fest e sul Fest appena terminati, peccato che dopo dieci minuti con la penna in mano crollo e mi risveglio a mezz’ora dal primo scalo. Mi tocca così scriverlo durante la pausa pranzo a lavoro, cercando di essere il più sintetico possibile, il che è abbastanza difficile.

 

Il Fest è (ovviamente) un Festival che si svolge a Gainesville, Florida, organizzato da Tony della No Idea Records per la prima volta 16 anni fa; nel corso degli anni la manifestazione è cresciuta a vista d’occhio (circa 400 bands, suddivise su più locali) ampliando ulteriormente l’offerta 5 anni fa con l’aggiunta di un Pre-Fest in preparazione del grande evento di cui parlerò prossimamente.
Mi aspettavo 5 giorni di caos, delirio, file e confusione invece tutto è filato liscio.
Qualche piccolo appunto :

  • gli americani fanno sempre la fila indiana
  • puoi bere 32 PBR (birra ufficiale del doppio evento) ma non sarai mai neanche lontanamente sbronzo, avrai solo la pancia gonfia -> meglio il Fireball, vero Matt Gyver?
  • era tutto così ordinato e preciso che probabilmente una parte della città non si è accorta neanche dell’evento -> fatico a capire perchè da noi anche una partita di 3a categoria provochi disagi infiniti
  • vedere band a caso è fico

Little Ybor City

Ho fatto pochissime foto ma tanti video, sulla pagina facebook di I Buy Records li trovate quasi tutti.
Dopo le doverose premesse, vediamo un po’ come è andata.

Il Pre-Fest si svolge nei pressi di Ybor City ridente cittadina a nord-est di Tampa, con una forte percentuale di immigrati Cubani, Spagnoli e Italiani, famosa soprattutto per la produzione di sigari. Mi ritrovo così in poco tempo a chiacchierare in dialetto calabrese misto inglese con un buttafuori originario della provincia di Reggio e con una ragazza originaria di Sambiase.

I concerti si sono svolti su 4 diverse location: Crowbar, Tequila’s, The Dirty Shame e Oprheum, tutti abbastanza vicini e con capienza diversa in modo tale che “ogni band ha avuto il locale che si meritava”.

DAY 1

Off With Their Head – Foto Terribile scattata con il cellulare

Red City Radio @ The Orpheum – I primi concerti iniziano verso le 5, ma tra un bagno in piscina e l’altro la prima band che riesco a vedere sono loro. Ecco, questa è una delle band che molti amici amano ma che non mi dicono niente. Se su disco non mi sembravano proprio pessimi, dal vivo li ho trovati noiosissimi. Li noto solo per le voci a cappella alla Neri Per Caso. Ragazzi, il punk rock è altra cosa, su.

Spanish Love Songs @ The Dirty Shame – Finiti i RCR, scappo ed entro a caso in questo pub/sala biliardo per vedere un po’ questa band, non li conosco ma sono incuriosito dalla folla radunata per vederli, l’acustica lascia un po’ a desiderare ma mi avvicino lo stesso: mi sembrano abbastanza giovani e devo dire che senza dubbio sono una bella sorpresa: propongono mazzacore (ovviamente), i pezzi sono molto orecchiabili ed energici, e soprattutto si vede che si divertono e stanno facendo divertire i presenti. Bravi.

Direct Hit @ The Orpheum – Macchine da guerra. Non sono un grandissimo fan, ma questi ragazzacci hanno fatto uno show pazzesco! Il fatto che siano passati in pianta stabile in Fat Wreck è il giusto premio per una band che ha dimostrato di spaccare i culi e di meritare in pieno il successo e le attenzioni che stanno ricevendo. Suonano da veterani e con grinta da vendere.

Teenage Bottlerocket @ The Orpheum – Una delle band che mi interessava di più vedere. Visti qualche mese fa a Milano in apertura di Frank Turner, confermano di essere in ottima forma e di aver trovato un degno sostituto del compianto Brandon. Il ricordo commosso di Ray verso il gemello tragicamente scomparso è una delle scene più sincere e toccanti che ricorderò di tutto il Fest.

Off With Their Heads @ The Orpheum – Loro mi piacciono e pure tanto. L’ultima volta che li avevo visti sarà stato 6/7 anni fa allo SGA ad Arese. E’ una band che pur facendo parte del giro mazzacore ha attitudine, grinta e rabbia da gruppo punk old school. La voce graffiante e malinconica di Ryan è un pugno allo stomaco ad ogni canzone.
Durante i classici della band come Nightlife, Drive e Clear The Air scatta proprio il delirio. Degno di nota il batterista – scopro essere lo stesso degli Horrible Things – che pesta come un dannato. Ottimi e in forma strepitosa.

Against Me! @ The Orpheum – Senza dubbio gli ospiti più attesi dal pubblico. Come i Teenage Bottlerocket tra PRE-FEST e FEST suoneranno più volte e praticamente sono gli unici a non usufruire della backline ufficiale (tutta Orange, eh) per presentarsi con una montagna di Vox e Ampeg  in grado di far tremare un ponte. Non a caso, esce fuori un muro di suoni compatto e potente sotto i ritmi martellanti dettati da quel drago di Atom Willard. Laura Jane Grace & Soci spaziano lungo tutta la discografia della band e nonostante queste siano le ultime date di un tour lungo 3 mesi, si dimostrano in formissima e in alcuni tratti commoventi. Chiedete a Serena Silvakov per conferma.

DAY 2

Lillingtons Live | I Buy Records
Lillingtons Live

Western Addiction @ Crowbar – Il nostro secondo giorno del Pre-Fest inizia molto presto. Alle 3 circa siamo già al Crowbar, un posto che sa tanto di risse e pugni tra motociclisti. Sul palco ci sono i Western Addiction: li avevo visti qualche anno fa in apertura ai Lagwagon qui a Milano e confermano l’ottima impressione che mi fecero. Hardcore vecchia scuola, pochi fronzoli. Scena top del concerto: quasi a fine set il cantante, Jason Hall, sale sul bancone per fare il figo e istigare il pubblico, una volta sceso la barista tutta schifata inizia a spruzzare sgrassatore e disinfettante su tutto il balcone, imprecando come una dannata. That’s hardcore, baby!

Pkew Pkew Pkew @ Tequila’s – Non conoscevo minimamente questa band: i miei compagni di viaggio seguaci del Mazzacore me li propongono come super-band rivelazione. Considerando di avere più di un’ora di buco penso che andare al Tequila e sorseggiare un ottimo Margarita, in fondo non è una cattiva idea. Alla fine devo dire che non mi dispiacciono: certo i pezzi easy-listening e dal singalong ricercato non sono il mio pane quotidiano, ma ammetto che sono stati una piacevole sorpresa.

Pet Symmetry @ Tequila’s – Devo dire che il nome mi ha tratto in inganno. All’inizio ho pensato di aver avuto un po’ di culo di aver beccato una band vagamente ramonescore, investigando scopro invece che fanno pop-punk piuttosto mieloso al confine con l’indie. Non fanno proprio per me. Skippo alla grande e mi dirigo verso l’Orpheum.

Smoking Popes @ The Orpheum – Gli Smoking Popes sono un gruppo (o meglio una famiglia) che nel corso degli anni si è creata meritatamente una fanbase trasversale: è davvero difficile dire qualcosa di male su di loro, sarebbe difficile persino per snafu. Forse per questo pur non conoscendoli superbene, la band dei fratelli Caterer era nella mia top 5 delle band da vedere al Fest. E le aspettative non sono state deluse affatto. Gran bel concerto.

Tim Barry @ Crowbar – Ecco, qui mi cospargo il capo di cenere. Da giovanissimo Over The James e Front Porch Stories li ho consumati fino alla noia. Nel corso degli anni, son finiti un po’ nel dimenticatoio e insomma… senza mezzi giri di parole non avevo idea che Tim Barry fosse stato il cantante degli Avail.
Ok, dopo essermi umiliato pubblicamente, voglio dire che il suo show acustico è stato sicuramente il più bello visto in questi giorni in Florida. Coinvolgente ed emozionante come pochi: momento top della serata quando ha detto “Sapete qual è la decisione migliore che ho preso nella mia vita? Quando ho mollato il mio fottuto lavoro per fare questo (ndr il musicista)”. E’ scoppiato il delirio, come dargli torto?

Beach Slang @ The Orpheum – Ok. Partivo molto prevenuto ossia “Sono dei pupilli di Mazza, fanno mazzacore, quindi non possono piacermi”. Il mio approccio superficiale però si è rivelato un clamoroso boomerang; a mano a mano che lo show avanzava i pregiudizi svanivano ed era evidente che la mia opinione stava cambiando. Si, lo ammetto. I Beach Slang spaccano. E pure tanto. Ricredersi è davvero bello soprattutto quando scopri – anche se in notevole ritardo – una band così.

Banner Pilot @ Crowbar – Sinceramente mi hanno deluso molto. Non sono un fan e non mi aspettavo di cambiare idea, ammetto però che per il loro genere hanno i brani che “funzionano”; il problema è che hanno suonato davvero molto male. Essendo questa la seconda volta che li vedo e la performance è stata identica, mi chiedo se è una coincidenza oppure dal vivo non riescono proprio a rendere e dimostrare da essere un gruppo da Fat Wreck. Alla fine il pubblico era in estasi e il mio giudizio conta zero, quindi va bene così.

Against Me! @ The Orpheum – Show pressochè identico a quello del giorno 1. Niente di particolare da aggiungere a quanto già detto. Hanno spaccato come sempre, galvanizzati anche dall’aria di casa.

The Lillingtons @ Crowbar – La presenza dei Lillingtons era il motivo principale della mia partecipazione al Fest. Non che una settimana in Florida a svernare mi abbia fatto schifo ma vederli dal vivo era diventato quasi un chiodo fisso. Dopo circa 11 anni praticamente in silenzio sembra siano tornati definitivamente, pubblicando prima un 7″ e poi il chiacchieratissimo album Stella Sapiente. Si presentano sul palco forse un po’ emozionati (giustificabile) e salta subito all’occhio la presenza di Miguel dei Bottlerocket al basso. Rapido line check e si parte sulle note di Drawing Down The Star, poi Final Transmission, Codename: Peabrain e così via alternando saggiamente i pezzi dell’ultimo album ai classici della band. Degno di nota, in mezzo al pubblico e da comune mortale un Ray Rocket in formissima a pogare e divertirsi come un matto. Eroico. Finisce la serata e il nostro Pre-Fest sulle note di Lillington High.

Unico appunto: ma The Too Late Show vi fa proprio cagare? Parliamone!

Bad Religion + The Interrupters – 02.09.2015 – Live @ Live Music Club (Mi) by Markez

Qualche settimana fa vicino sono tornati a farci visita ancora una volta i Bad Religion e ancora una volta il prof. Greg Graffin & soci ci hanno dato una bella lezione di punk rock. Prima di lasciare la parola ( o meglio la tastiera) al Markez, esprimerò brevemente la mia opinione.
Interrupters: Sorpresona. Non mi piace lo ska tranne qualche rara eccezione. Odio le chitarre in levare, ma questa famigliola ( 3 fratelli + moglie del chitarrista) hanno fatto davvero un bel concerto. Prendete i Rancid di “Life Won’t Wait” metteteci Brody Dalle a cantare ed ecco il risultato. Simpatici ed energici: una piacevole sorpresa, da seguire con attenzione.
Bad Religion: non ci sono più parole per descrivere questa band. Standing Ovation e mille cuori.
Lascio la parola al massimo esperto in materia: ladies & gentlemen, MARKEZ!

 

Per il terzo anno di fila i Bad Religion vengono a benedirci e per la seconda volta di fila lo fanno a Trezzo.
Aprono le danze gli Interrupters, band molto simile (eufemismo) ai Rancid (in particolare quelli di Life won’t wait), con la cantante che è la versione femminile di Tim Armstrong.

Fanno il loro come si deve e la gente sembra apprezzare: un punto a favore per la cover degli Operation Ivy ma ho in testa una sola cosa e purtroppo non c’è band di supporto che me la tolga. Questo è il contorno, così come le chiacchiere e i saluti con gli amici soliti e quelli nuovi della pagina italiana dei Bad Religion.
Il piatto principale arriva invece sulle note di Jesus Christ Superstar che fa da intro al nostra messa: si parte subito con l’inaspettata Spirit Shine, canzone per nulla frequente nei live della band californiana e seguita dal velocissimo trittico con cui inizia The process of belief -nell’esatto ordine-: Supersonic, Prove It e Can’t Stop It. Tre schiaffi e via!

Seguono in questa folle scaletta ben tre title-track: Stranger Than Fiction, Against the Grain (anche qui la percentuale di rarità del pezzo live è elevata) e Recipe for Hate. Seguirà l’unico pezzo tratto dall’ultimo album (Fuck you) e dopo qualche canzone più recente arrivano le sorprese con The Handshake e Broken prima della commovente Skyscraper.

 La sala è piena e la gente felice, c’è meno caos del solito sotto al palco ma la partecipazione alle canzoni è ai massimi livelli quando arriva il regalo direttamente dagli anni ’80 con Delirium of Disorder prima che inizi un vero e proprio tributo ad un album che è storia: No Control. Magia dal 1989.
Da questo caposaldo suonano ben 8 (OTTO!) pezzi nell’esatta sequenza-studio, tra cui due perle come Billy e Henchman. Incredibile la potenza che questa band riesce a mantenere dopo 35 anni di carriera.  
Greg Graffin intrattiene il pubblico, Jay scherza, Brian Baker è il guitar hero del genere, Brooks picchia come sempre e persino Mike Dimkich che ho ribattezzato amichevolmente “lo sciarpetta” per i suoi improponibili look è ormai “one of us“.
La mia gioia personale arriva con Watch it die che avevo sempre voluto sentire dal vivo e dopo le classiche Sorrow, Infected, Generator (versione veloce e come sempre da brividi) e Punk Rock Song c’è il breve tempo per la solita pausa prima che concludano in bellezza con la Overture di The Empire Strikes First seguita dalla sua sorella Sinister Rouge: una delle canzoni più feroci ma melodiche di sempre.
Le note finali di American Jesus riempiono l’aria e finito l’ultimo coro Greg se ne va lasciando gli applausi al resto della band con un Jay Bentley particolarmente commosso che ci ringrazia di cuore. A noi, innamorati dei Bad Religion. Insomma un’altra lezione di come si suona e di come si intrattiene un pubblico, con una scaletta originale (ho contato ben 13 pezzi che negli ultimi 10 anni qui in Italia non avevano mai suonato). Applausi e basta: il countdown per il nuovo album ed il prossimo concerto è appena iniziato.

Markez 

Dwarves – 07.05.2015 – Live @ Bloom (MB)

Dopo mille anni, torno a scrivere un live-report semplicemente perchè tornano in Italia i miei amatissimi Dwarves.

L’ultima volta che li vidi fu in California in apertura agli Screeching Weasel (ho di nuovo i brividi a pensarci, vecchio report qui). e complice il batticuore da adolescente non riuscii a godermi in pieno lo spettacolo.
A distanza di qualche anno, i protagonisti principali questa volta sono loro e le mie attenzioni sono per Blag Dahlia & Soci a questo giro con Nick “Pisellone” Oliveri al basso.
In apertura ci sono stati gli Svetlanas, ma ho preferito vegetare mezz’ora in più sul divano e li ho skippati alla grande.

Più o meno alle 11, partono i Dwarves. I feedback provenienti dal Groezrock parlavano di uno show non proprio esaltante, probabilmente penalizzati  dallo stage troppo grande. Beh, opinione più o meno condivisa da tutti i presenti al Bloom i Dwarves hanno spaccato!!!!

Sarà che ero super carico per l’occasione, ma hanno fatto uno show pazzesco, riproponendo i classici della band più i pezzi più fighi dell’ultimo album, Scaletta pressoché simile al concerto di Berlino, che potete vedere qui. Visti gli orari improponibili per un giovedì, il concerto termina dopo solo 45 minuti e senza encore (perchè?); giusto il tempo di salutare qualche amico e scambiare due chiacchiere con Blag Dahlia tranquillamente a suo agio fuori dal Bloom, si scappa verso casa, saltando il banchetto (alè per il mio portafoglio!).

The Dwarves Are Still The Best Band Ever!

Semprefreski – 31.01.2015 – Live @ Rocket Bar (PA) – Trovasi un mondo punk rock by Debra Jean

Se dicessi che i Semprefreski sono uno dei gruppi più fichi che l’Italia abbia mai cagato dico una bugia? Ho la presunzione di dire di no. Così, quando iniziò a circolare la news della reunion, mi sono chiesto se era il caso di fare la pazzia ed andare a Palermo. Perchè ci sono reunion e reunion. E questa senza dubbio era da non perdere. La pazzia non l’ho fatta ma… stiamo lavorando per voi.Comunque…la cara Palmi – in realtà missione segreta per abbuffarsi di panelle – ha partecipato al mega evento celebrativo dei 10 anni del Rocket Bar e le abbiamo proposto di scrivere due righe per noi.

Il braccio di un orangotango e Ciaccio dei Semprefreski

Report del concerto dei Semprefreski a Palermo. No.
Report di come io ho vissuto il concerto dei Semprefreski a Palermo. Meglio.
A me non frega un cazzo di riportare la scaletta, di dire come fossero vestiti, di lamentarmi perché non hanno fatto Dread (bugia, di quello mi frega moltissimo) o di triturare le balle su come fossero i suoni: sono tutte cose marginali e sono tutte cose che si possono trovare in rete: la scaletta è su Instagram, le foto su Facebook del concerto vi mostreranno tutti gli outfit dei singoli componenti della band e i suoni li giudicherete da voi su Youtube.
Quello che non troverete online è come mi sono sentita io, cosa questa che sì, per voi, potrebbe essere marginale, ma Andre m’ha chiesto di provare a fare il report della serata e questo è per me l’unico modo possibile di portarla a casa.
Metto le mani avanti dicendo che non dirò nulla di utile e anzi, con tutta probabilità, scriverò cose che chi mi conosce mi sente ripetere a intervalli di 7-8 minuti circa.
Arriviamo in mattinata a Palermo e troviamo quella che sarà la compagna fedele del nostro week end palermitano: la cassata. E la pioggia battente.
La prima attività cui ci dedichiamo è quella di procacciarci del cibo, e per tale ragione ci fermiamo, del tutto a caso, in quello che si rivelerà essere poi uno dei migliori ristoranti di Palermo. Sfumato così il colpo di culo della vita, arriva il pomeriggio.
Adorando io cimiteri, mummie, luoghi chiusi e stretti per una sorta di claustrofobia al contrario, costringo la compagnia a visitare la cripta dei Cappuccini, esperienza che si rivela per me una figata incredibile.
Breve sosta in albergo e finalmente giunge la sera.
Ci presentiamo al Rocket Bar ad un orario imbarazzante, giusto quelle 3 orette di anticipo in cui ci preoccupiamo di ingurgitare i primi (e, per quanto mi riguarda, ultimi) Bronski della nostra vita, a stomaco vuoto e su ricetta consigliata direttamente da Ciaccio (sull’autenticità della quale lui per primo, però, si mostra discretamente titubante).
Arriva il momento del concerto, ormai il Rocket Bar è pieno di gente.
I Semprefreski fanno un concerto della madonna.
Momento Treccani del report: chiariamo cosa vuol dire per me “della madonna”.
Dicesi “concerto della madonna” una performance musicale di un complesso che suona dal vivo in cui è percepibile l’essenza del punk rock. Niente manichini sul palco, niente svogliatezza, niente mosse studiate, niente falso presobenismo, niente musi lunghi, niente Circo Orfei. Solo punk rock.
Hanno sbagliato? Credo di sì. Si sentiva bene? Così così. Me n’è fregato qualcosa? Zero. Non è fregato a me perché sono speciale o non è fregato un cazzo a nessuno dei presenti? Non è fregato un cazzo a nessuno dei presenti. C’era una genuinità totale quella sera, sia sul palco che sotto al palco, non mi prendo la briga di parlare a nome di tutti… anzi, lo faccio: eravamo tutti soddisfatti.
Dai, sei lì e ti metti a cantare a squarciagola “Mileeenaaaa dice che non mi ama piùùùùù!” porca vacca sei felice, cazzo! Felice! Non devo spiegare proprio nulla.
Mi sono divertita davvero tanto, l’occasione era speciale, e ovviamente non si può prescindere dal fatto che non si vedono suonare i Semprefreski tutti i week end, questo ha giocato a loro favore in termini di affluenza ed entusiasmo, ma ne è valsa davvero la pena prendere l’aereo (dicesi “prendere l’aereo”: viaggiare per un determinato periodo di tempo all’interno di un aeromobile. Sinonimi: cagarsi addosso, avere paura, tremare da quando appare il numero del gate sul tabellone) per poter partecipare alla reunion dei Semprefreski.
Per una sera, abbiamo ritrovato quel mondo punk rock che tutti cerchiamo.

The Menzingers + Smith Street Band + The Holy Mess – 8.10.2014 – Live @ Paradiso (Amsterdam)

Escono le date del tour europeo dei Menzingers. Niente Italia. Urge una soluzione, e la meta più papabile sotto molti punti di vista è Amsterdam, per me #1 city in the world e, tra le tante mete raggiunte dai Menzingers non  ho avuto particolari dubbi nell’effettuare la scelta.
Travelling crew composta dal sottoscritto + Paolino e Matteo, livornesi doc e  grandissimi amici. Avrebbe dovuto essere della partita anche la mia ragazza, che però a causa di un volo annullato all’ultimo ha dovuto tristemente rinunciare.
Il viaggio per arrivare ad Amsterdam via Ryanair è eterno e riusciamo a raggiungere l’hotel per le 18.30, giusto il tempo per prepararci e avviarci a
piedi (ben quattro minuti di strada) verso il Cafè Paradiso, locale di cui ho sempre sentito parlare ma che non avevo mai avuto modo di testare di persona. Per quanto momentaneamente avvolto nei ponteggi, il Paradiso è in linea con l’architettura cittadina, da fuori potrebbe tranquillamente essere scambiato per un museo o un edificio storico. Dentro è uno spettacolo, le aree comuni (ci sono più sale e più eventi in contemporanea) sembrano hall di hotel di lusso, con lampadari e scalinate con tappeto rosso. Lasciamo giacche e felpe al guardaroba e per le 19.20 (inizio previsto del concerto alle 19.45,  l’alba praticamente) siamo al bar per la prima Heineken e per la prima foto sotto il palco. Tutta la stanchezza della giornata viene dimenticata e iniziamo a sentire l’emozione pre-concerto. Nel giro di mezz’ora il locale è stipato (sold out, la sala contiene circa 200
persone, per dare un’idea come l’area concerti dell’Honky Tonky).
Alle 19.45 attaccano gli Holy Mess, da Philadelphia. Non sono ancora riuscito ad ascoltare  il loro ultimo album, Comfort in the dischord, per cui per me sono una novità assoluta. Si presentano con cantante/bassista del tipo Matt Skiba meets il cantante dei Placebo, con tanto di Rayban da vista cerchiati in bianco e unghie smaltate nere. I due compari di band sono in smanicato nero e barba.
Spaccano davvero il culo, musicalmente e stilisticamente ricordano gli Alkaline Trio più aggressivi. I pezzi sono immediati e molto orecchiabili, davvero una bomba! (Ho ascoltato con attenzione i dischi una volta a casa, confermo la mia opinione).
Chiudono dopo mezz’ora e lasciano il palco agli australiani Smith Street Band, che mi ero colpevolmente perso al GroezRock. Band molto originale e  particolare, chitarre pulite, tempi dispari, voce urlata e testi chilometrici.
Attaccano con Sigourney Weaver, dal penultimo lavoro No one gets lost anymore, poi si procede con Don’t fuck with our dreamsI can’t feel my face, un paio di pezzi nuovi. Da quando li conosco, i loro dischi accompagnano i miei momenti di relax casalingo (colonna sonora perfetta per lavare i piatti), ma qui l’atmosfera è tutt’altro che tranquilla, anche i pezzi più lenti sono suonati con grande precisione e cattiveria. Il cantante è uno spettacolo nello spettacolo, gesticola un sacco e con l’accento australiano fortissimo non può che risultare simpatico.
Unica pecca, forse, i pezzi un po’ troppo lunghi (ne suonano 8 in 35 minuti di scaletta), ma pazienza.
Chiudono con la doppietta When I was a boy I thought I was a fish e Young Drunk.
Cambio palco di circa dieci minuti dove guadagnamo la frontline e ci prepariamo, spiando le scalette. Parte la intro, i Menzingers salgono sul palco e il pubblico impazzisce. Paolino tira fuori dalla tasca una bandiera tricolore con il logo dei Menzingers fatto con lo scotch nero in centro, la sventola qualche secondo e lo appoggia sul palco.
Puntuale arriva il roadie a tirarlo via, pensiamo che la trovata sia durata poco, invece la bandiera viene fissata sulla cassa della chitarra di Tom May e lì rimarrà, risistemata all’occorrenza.
I Menzingers giustificano in pieno il viaggio fatto per vederli; attaccano con I don’t wanna be an asshole anymore,  dall’ultimo Rented World, poi pescano qua e là dagli ultimi tre dischi, vanno avanti con Burn after writing e I was born.
Subito dopo si prosegue con The obituaries, The talk, Ava House e Where your heartache exists, quest’ultima attesissima dal sottoscritto. Su questo pezzo, durante il momento di silenzio post-ritornello, Paolino inizia nel silenzio più assoluto a  fare con la bocca il giro di basso introduttivo del bridge; il bassista non lo segue e si perde via, ridendo insieme al pubblico.
La  band non perde colpi e continua ad infilare pezzoni, Gates, My friend Kyle, Hearts Unknown, Time Tables, Nice Things, per concludere con la fantastica In Remission.
Stop  di un paio di minuti poi la band rientra per gli encore; chiedono: “Who are the Italians?”, noi alziamo le mani, loro ringraziano e ci dedicano Rodent, seguita a ruota da Casey e da una Roots Radicals che parte così a sorpresa che quasi non ce ne rendiamo conto.
Concerto incredibile, più i pezzi sono depressi e disperati più la band riesce a proporli in una dimensione live né depressa né disperata, davvero ottimi.
Alle  22.30, tutto è finito. Stiamo in giro un po’ nel locale per fare qualche foto e chiacchierare con le band e fare acquisti al banchetto. Poi è tempo di uscire e lasciarci guidare dalle strade di Amsterdam (in cui continuo a perdermi come uno stronzo, nonostante ci sia stato un milione di volte). Grazie a Paolino e Matte, vi voglio davvero bene ma cambiate squadra!
di Enri Gluesniffer

Blondie + Carnabys – 03.09.2014 – Live @ Circolo Magnolia (MI)

L’estate è ormai finita, e dopo aver mandato anche IBR in vacanza per oltre un mese inauguriamo la  nuova stagione con un concerto bomba: BLONDIE.
Vi risparmiamo chi sono e cosa hanno rappresentato, ma soprattutto eviterò banali commenti su quanto possa essere ancora fottutamente sexy a quasi 70 anni la nostra Debbie Harry. Ok, mi sento tipo quelli che stanno fissa per la categoria di youporn milf/mature ma chi è stato al concerto ieri sera, sono certo che concorderà con me.

Si preannuncia il pienone, quindi con il soldato Pvt Rehab di SNAFU riteniamo opportuno andare al Magnolia presto per evitare fila all’ingresso e scambiare qualche chiacchiera in tranquillità.

Photo Credit: Francesco Prandoni

Una volta dentro, è bellissimo notare il “contrasto generazionale”: molti giovanotti, ma soprattutto tanti ultra 50enni (sono quasi certo che il signore al mio lato per tutto il concerto ne aveva almeno 60.. ) che probabilmente conservano ancora con affetto Penthouse del febbraio 1980.
Ad aprire la serata sono stati i Carnabys. Non mi piace affatto l’indie o comunque quel rock che suonano loro… non me ne vogliate, ma non mi sono piaciuti affatto. Stendiamo un velo pietoso sulla giacca del cantante. Manco mio padre ne metterebbe una così brutta. Comunque ho notato che qualcuno tra le prime file ha apprezzato ‘sti inglesi. Meglio per loro. Le 22:25 sono il momento tanto atteso, si alzano mille telefonini al cielo e un po’ alla volta fanno l’ingresso tutti e 6 i musicisti…ovviamente tutti i flash sono diretti verso Debbie Harry, ma non mi vergogno a dire che i miei occhi erano puntati anche verso Elvis Ramone o se preferite Clem Burke. Ok, suonò solo 2 concerti con i Ramones.. ma è sempre stato un Ramone e sfoggiava  anche la maglietta del CBGB giusto per mettere in chiaro le origini.

I pezzi scelti per la scaletta sono praticamente i super-classici della band come One Way Or Another, Call Me, Maria, Atomic, Dreaming, ecc.., qualche pezzo nuovo (Debbie perdonami ma sono orribili ) più la classica cover dei Nerves di Hanging on The Telephone e una inaspettata dei Beastie Boys di (You Gotta) Fight For Your Right (To Party).

In generale è stato un concerto molto divertente, la band era in ottima forma e la bella Debbie riesce a scaldare gli animi e gli ormoni nonostante non sia più così giovane. Nonostante qualche battuta a vuoto, nel complesso concerto promosso a pieni voti.

Motörhead + Pino Scotto – 24.06.2014 – Live @ Ippodromo City Sound (MI)

Lemmy & Pino Scotto, foto rubata dal facebook di Pino

Un live report su I Buy Records solo due giorni dopo il concerto? Stiamo scherzando? cosa succede!!?!?!

No, non è uno scherzo… è solo un voler buttar giù due righe il più presto possibile dopo l’evento che aspettavo da tanti anni… non che i Motörhead non siano mai passati da queste parti ma solo il pensiero di dover andare a un Gods of Metal o qualsiasi altro festival del genere mi ha sempre fatto venire la pelle d’oca, sarebbe stata una sofferenza atroce per me.

Non amo affatto il metal, e permettetemi di dire che i Motörhead, per me, non fanno metal: i Motörhead sono i Motörhead e fanno musica alla Motörhead , sono unici. E poi R.A.M.O.N.E.S. non è una motivazione sufficiente per amarli? Per me si.

Foto rubata da OnStageWeb - All Rights Reserved
Foto rubata da OnStageWebAll Rights Reserved

Dopo le doverose premesse, parliamo un po’ di questo concerto. Il super-pacco mollato da Lemmy lo scorso anno e le sue condizioni di salute sempre più precarie, mi spingono ad aspettare l’ultimo giorno utile per comprare il biglietto così, dopo aver gustato la clamorosa debacle degli Azzurri ai Mondiali di Calcio, sotto un violento acquazzone ci dirigiamo verso l’Ippodromo di Milano.

Si arriva lì che ormai non piove più e Pino Scotto ha già iniziato a suonare. Non sono un suo fan e non morivo dalla voglia di vederlo, ma lo trovo simpatico e le sue clamorose incazzature in TV mi hanno fatto sempre ridere, decido quindi che tra una birretta e l’altra posso pure ascoltarlo. Non conosco il suo percorso musicale, ma mi sembra di capire che nell’ambiente metal è abbastanza rispettato. Show onesto, supportato da ottimi musicisti (batterista micidiale!) riconosco solo la cover di Stone Dead Forever per omaggiare il re del roooock“. Ah, degno di nota l’ennesimo attacco a X-Factor e Amici (“Li farei arrestare per spaccio di demenza!”). Datevi Fuoco!
Dopo un breve check-sound, è il turno dei Motörhead. Puntuali alle 22:00 salgono sul palco, Mikkey Dee, Phil Campbell e quindi Lemmy rigorosamente vestito in nero: “We Are Motörhead And We Play Rock and Roll”!

Si parte subito con Damage Case e Stay Clean. Si nota subito che le canzoni vengono eseguite con qualche bpm in meno, purtroppo Lemmy non è proprio in forma e la voce a volte arranca… è ovvio che i recenti problemi di diabete hanno lasciato il segno, ma chi sarebbe stato in grado di stare su un palco al posto suo?

Foto rubata da OnStageWebAll Rights Reserved

Io dico nessuno e bisogna solo apprezzare uno sforzo encomiabile e direi senza precedenti da un vero mito del rock n roll.
Io godo e prima di Over The Top mi avvicino decisamente verso le prime file ma compio il grave errore di piazzarmi dietro un metallaro capellone che fa headbanging ed air-guitar a petto nudo, risultato finale? Mi sono ritrovato i suoi capelli sudatissimi appiccicati alla mia barba per almeno metà concerto. Vabbè colpa mia che non mi sono spostato.

Motörhead Setlist City Sound Hippodrome, Milan, Italy 2014, Aftershock Tour

Come già detto Lemmy non è in formissima, ma fin quando sei supportato da due mostri come Mikkey Dee e Phil Campbell ti puoi permettere di fare ordinaria amministrazione. Epico l’assolo infinito dopo Over The Top ( quanto era tamarra la chitarra signature Motörhead con le luci verdi? voto 10) e i 3-4 minuti di solo di batteria di Mikkey su Doctor Rock ( pelle d’oca per quanto mi piace sta canzone!).

 

Si susseguono i pezzi uno dietro l’altro, con brevi pause per far rifiatare un po’ il nostro amato Lemmy, si chiude infine con un trittico da paura: Killed by Death, Ace of Spades e Overkill (ripresa ben 3 volte). Terminato il concerto, tirando le somme posso solo dire di essere rimasto soddisfatto: certo, la scaletta è stata un po’ striminzita e sono mancate tante chicche, ma sappiamo benissimo in che condizioni si trova Zio Lemmy, ci resta solo da ringraziare e goderci quanto riesce ancora ad offrire.
Lunga vita a Lemmy!

Groezrock 2014 – Quello che Andrea non vi ha detto

Dopo aver guardato con invidia le migliaia di persone che nel corso delle edizioni passate mi avevano raccontato le meraviglie del festival, quest’anno prendiamo quasi last minute la decisione di unirci alla carovana di italiani in partenza destinazione Groezrock; nome caldissimo ovviamente quello degli Screeching Weasel, prima data europea in 27 anni di carriera, uno in più di me. Tenendo conto però del cartellone ricco di band assolutamente da vedere, prendiamo il biglietto per entrambi i giorni e ci mettiamo in macchina alla volta del Belgio. Squadra composta da me (Enri), LaMarty (la ragazza che mi sopporta da cinque anni), Fra Gluesniffer(grande amico e compagno di band dal 2008) e il Mino, uno dei miei migliori amici ormai da quasi dieci anni.

Il viaggio è lunghissimo, 9 ore e mezza; incrociamo in Svizzera la macchina composta da Andre, Ame, Lu e Palmina, che ha giurato e spergiurato che Saarbrucken fosse ad un paio di isolati da dove ci trovavamo in quel momento. Ci siamo passati pure noi, ma circa 7 ore dopo.

Alle 2 di notte siamo in albergo, giusto per incontrare uno degli attendenti del festival che, ubriaco a merda, chiede alla receptionist quale sia la sua camera.

GIORNO 1

Sveglia presto, colazione abbondante e via verso il festival. La vera incognita è “che tempo farà?”. Nella mia dabbenaggine in valigia avevo pure dei pantaloni corti…in realtà la temperatura si attesterà circa sui 13 gradi di media durante tutto il festival, se non meno, e girerò costantemente con due giacche.

Incontriamo i primi volti noti e si entra. Alle 12 in punto, prima band, gli svizzeri Astpai. Nonostante l’orario, che qua in Italia non mancheremmo di definire infame, c’è già parecchia gente a vederli e direi che fanno la loro porca figura. Il batterista tiene i crash ad un’altezza vertiginosa e la cosa mi infastidisce alla vista, ma in generale bel concerto. Sui 4 palchi si alternano diverse band senza soste.

Mi perdo nell’ordine Atlas Losing Grip, Gameface e buona parte dei Bodyjar, ma mi sposto sotto l’Etnies stage (il palco dedicato alle band “minori”) per i Red City Radio. Prima bomba della giornata: ci saranno almeno 2000 persone sotto il tendone, singalong a manetta, stage diving continuo e una band che di sicuro dal vivo ci sa fare e spacca il culo.

Già in apertura con Two notes shy of an octave, brividi. Il top arriva con Two for flinching, con un singalong da brividi. Il gruppo è quasi incredulo e si concede una selfie con il pubblico alle spalle a fine show.

Tempo di una birra e prendo posto sotto al main stage per due delle band che aspettavo con più ansia: Menzingers e Lawrence Arms.

I primi hanno da poco fatto uscire un disco, Rented World che non mi ha entusiasmato (o non ancora, per lo meno), ma On the impossible past rimane un capolavoro. Dal vivo li adoro, per quanto i pezzi possano essere lenti e puliti, c’è una rabbia e una forza della disperazione di fondo che trovo difficile da spiegare, ma mi esalta. Alternano pezzi dell’ultimo lavoro (I don’t wanna be an asshole anymore e In remission) a pezzi più vecchi (Deep sleep, I was born…).

Il tendone si riempie pian piano e impazzisce sui pezzi del penultimo album. Chiudono con Obituarie se a quel punto io inizio seriamente ad essere emozionato. Dopo di loro, infatti, suoneranno i Lawrence Arms, la mia band preferita. È la prima volta che li vedo dal vivo e ho un senso di curiosità addosso che mi fa sentire un quindicenne.

Mi prendo già bene quando salgono a fare il check. All’orario prestabilito parte Party in the USA di Miley Cyrus come intro e la band fa il suo ingresso sul palco. Aprono con Chilean district, dall’ultimo album Metropole, poi infilano una sequenza di pezzoni tratti principalmente da Oh Calcutta! (Great Lakes, Recovering the opposable thumb, Cut it up).

I suoni, stranamente data la qualità dei live precedenti, sono pessimi e il concerto non fila via proprio liscissimo, c’è qualche inconveniente tecnico e la cosa non è particolarmente gradevole, ma finisco per sbattermene il cazzo. Un paio di pezzi dal disco nuovo (Beautiful things su tutte, capolavoro) e chiudono con Are you there Margareth? It’s me God. Sticazzi.

Rimane un po’ di amaro in bocca per i suoni, ma finisce il concerto e fosse per me suonerebbero ancora mezz’ora minimo, suoni di merda compresi. Tanti scappano a vedere gli Iron Chic, io mi prendo una pausa e faccio un giro al merch, dove riesco a scambiare due parole e fare qualche foto con i Lawrence Arms. Ci concediamo qualche birra e siamo di nuovo sotto il tendone per gli Alkaline Trio. I suoni sono tornati ad essere ottimi e il concerto è una figata. Una buona alternanza di pezzi vecchi e nuovi, Hell yes, Stupid kid, Every thug needs a lady, Time to waste…chiudono con Radio e quasi piango. Grandi.

Dopo di loro si va a pisciare a turno per tenersi il posto sotto al palco per i Descendents.

Atteggiamento da veri italioti, dato che il resto della gente fa la spola tranquillamente tra un alco e l’altro, ma tant’è; pure loro salgono sul palco in anticipo, a fare il soundcheck, ed è stato abbastanza strano vedere come un gruppo ai loro livelli non sia circondato da roadie e guitar tech e cazzi vari. Tempo mezz’ora e i Descendents sono sul palco, vecchissimi ma in forma smagliante. Aprono con Everything sucks e Hope in rapida sequenza, poi anche in questo caso si pesca un po’ da tutte le uscite. Il pubblico è scatenato ma chi si diverte davvero, in maniera genuina, è la band stessa. 4 amici che si ritrovano sul palco per l’ennesima volta in 32 anni e hanno ancora voglia di spaccare tutto. Fanno Silly girl, Nothing with you, Kabuki girl, Thank you.

Manca solo We per raggiungere la perfezione, ma ci accontentiamo. Fino a questo momento, e lo rimarrà dopo la delusione NOFX (spoiler!), miglior live della giornata.

A questo punto ceniamo vegan e iniziamo ad accusare viaggio e giornata. Cerchiamo un posto a sedere mentre l’area inizia pericolosamente a ricordare alcune zone di Corsico, in termini di degrado, ma con più ubriachi. Beviamo qualche birra pure noi insieme alla crew trentina per non sentirci fuori luogo e ci prepariamo a vedere i NOFX.

Per il ventennale di Punk in drublic, la band dovrebbe eseguirlo tutto, cosa che farà, ma alternando i pezzi, in ordine casuale, con i soliti interminabili monologhi che, vuoi la stanchezza, vuoi il pienone mai visto e vuoi anche che ormai sarà la decima volta che li vedo, iniziano a rompermi i coglioni da morire.

Abbandono il tendone a metà show e me li sento da fuori. Il commento migliore per il concerto me lo regala Fra alla fine: “Stasera non c’avevano voglia.” e, data la performance con qualche stop e inizi dei pezzi zoppicanti, non c’è riassunto migliore. Chiudono con la cover di Tony Sly. Ci mettiamo in coda e usciamo, per le 2 siamo a letto che domani si ricomincia.

GIORNO 2

Sveglia un po’ più tarda del giorno precedente, solita colazione da turista (piatto pieno e più giri al banco per ammortizzare i prezzi) e ci si rimette in macchina. Tardiamo un po’ e perdiamo i primi dieci minuti dei Get Dead, una delle ultime uscite Fat Wreck. Un po’ Clash, uno po’ Dropkick Murphys e sono abbastanza divertenti, ma tenendo conto che li vedrò in Italia a breve mi sposto sotto l’Etnies Stage per vedere i Priceduifkes.

Rimango a bocca aperta nel vedere che il tendone è pieno zeppo, non riesco nemmeno ad entrare praticamente. Sotto il palco la gente si ammazza, stage diving e salti mortali. Sorrido perchè penso ai loro concerti che ho organizzato io, al Blue Rose davanti a 50 persone quando è andata bene.

Loro, come sempre, sparano un concerto fenomenale e si meritano tutto questo. A breve saranno in tour in America con Direct Hit! e Masked Intruder, mica pizza e fichi. Corro di nuovo al Main per gli Elway. Aprono con Whispers in a shot glass, preannunciata dalla strofa di Colorado, poi procedono pescando qua e là tra Leavetaking e l’album precedente. Bel concerto e simpatici loro, in particolare il cantante che, quasi intimidito, dice “questo è di gran lunga il palco più grande in cui abbiamo mai suonato”. Tra parentesi, a parte i 35 minuti trascorsi sul palco, passeranno gran parte delle due giornate ad ubriacarsi al proprio banchetto del merch, dove il cantante improvviserà anche un live acustico (e la sera dopo spaccherà, per qualche motivo, una bottiglia di vino dentro una delle sue scarpe).

Decidiamo di pranzare subito dopo, perdendoci Smith Street Band e Fabulous Disaster. Alle 15 siamo però di nuovo al Main, pronti per il live dei Casualties, al quale arrivo con un po’ di curiosità ma anche parecchia sufficienza, non aspettandomi granchè. Sticazzi, mi sono dovuto ricredere. Dopo Descendents e Weasel (spoiler #2), il terzo miglior live dei due giorni. Loro suonano da Dio, hanno un tiro eccezionale e Jorge, per quanto non faccia delle doti canore il suo stile di vita, ha un carisma unico.

Su Punk rock love mi stava sfuggendo qualche lacrima, giuro. Finale davvero da brividi sulla schiena: super singalong su We are all we have, la band suona l’ultimo accordo e se ne va; il pubblico inizia a sfollare e ad un certo punto l’intero tendone (ad occhio e croce non meno di 5000 persone) riparte in coro “Whoooooo, we are all we have tonite!Whooo….”.

Non voglio essere retorico, ma un coro così significa molto di più di quanto non sembri, in una cornice del genere.

Subito dopo il Main Stage accoglie i punx locali Funeral Dress, altra vecchia conoscenza dei patiti di street punk. Non me li voglio perdere e prendo posto. Aprono con il tema di Die Hards, poi avanti con anthemoni tipo The pogo never stops e altri. Momento clou sono gli ultimi dieci minuti di concerto: il cantante fomenta il pubblico intonando il ritornello “party on, party on, party on” e l’intero tendone risponde con un singalong pazzesco; citando un adagio tanto caro agli over 35, solo chi c’era può capire. Live divertentissimo, non ai livelli dei Casualties ma più che dignitoso.

Faccio un giro al merch delle band e compro un comodissimo koozie degli Elway, per cui verrò deriso fino a quando non inizierà a fare veramente freddo e a quel punto mi vendico di tutte le angherie subite reggendo tranquillamente numerose birre senza perdere l’uso delle dita. L’operazione e le successive birre mi portano a rinunciare agli Snuff. Gli All invece non mi hanno mai fatto impazzire, però iniziamo a posizionarci sotto il palco in vista degli SW. Il loro live è una mattonata sul cazzo, nel vero senso della parola. alvo solo Carry you e She’s my ex, per il resto resisto solo per tenermi il posto in transenna.

Screeching Weasel time! In prima fila si parla praticamente solo italiano con diversi accenti; faccio partire qualche coro simpa tipo “dai Ben Weasel tiraci un cartone” “dai Ben Weasel picchiami LaMarty” e soprattutto “Fabio Poma dov’è?” (Fabio si è perso il concerto dei Weasel perchè dormiva…). Viene issato lo striscione del Bucchio e iniziamo a pensare che, forse, sta per succedere veramente. In effetti Ben Weasel fa il suo ingresso e impazziamo un po’ tutti. Apre con I’m gonna strangle you, prosegue con Slogans e Queen Kong. La scaletta ormai si sa a memoria, io di memoria ne ho poca e mi limito a riportare qualche pezzone in ordine sparso: Guest list, My brain hurts, Cindy’s on methadone, Veronica Hates me, Hey Suburbia, My right, Dingbat.

Il tutto completato da una marchettona Ben Weasel style della Monster Energy Drink (sponsor ufficiale del festival), che a quanto pare favorirebbe la ricrescita dei capelli e lo sviluppo dei testicoli, nonché da un lungo discorso sulla scena punk rock (mi ha fatto morire la dedica “a tutti i ragazzi e a tutte le band di Fat Wreck Chords”) prima della conclusiva Cool kids.

Un live della madonna, tirato e con poche pause. Ci ha già informati, gentilmente, che a meno di essere strapagato non tornerà in questa costosa terra di ciclisti per cui, se ve lo siete persi, fatevi dare 100 lire e andate in America perchè sarà pure uno stronzo, ma è uno stronzo che ne sa a pacchi.

Per tanti il festival finisce qui. Sul Main Stage si succedono New Found Glory che non mi sono mai piaciuti e gli Hives, di cui vedo solo pochi minuti; anche loro non sono ai stati in cima alla mia playlist e passo. Chi non mi voglio perdere, anche solo per curiosità, sono gli Offspring.

Anche loro festeggiano un ventennale, quello di Smash. Rispetto ai NOFX, però, mostrano di “avere voglia” e fanno un concerto divertentissimo. Suonano tutto Smash in maniera impeccabile (l’impressione generale è che tutto fosse troppo perfetto per essere completamente vero, ma tant’è…) e chiudono la prima parte con Self esteem.

Parentesi: da anni gli Offspring non mi hanno più entusiasmato per nulla, anzi. Ma Smash è qualcosa in più di un album per quanto mi riguarda; anno 1999, scambio di cassette pirata per posta con un amico del mare, Samuele. Un giorno, nella busta imbottita trovo Smash e, nei mesi successivi, la consumo letteralmente. A distanza di 15 anni, ricordavo ancora praticamente tutti i pezzi a memoria. Più che un concerto, un salto indietro nel tempo. Pausa con Intermission in sottofondo, dopodichè altri venti minuti con una sequela di singoli dal 1997 ad oggi, a partire da All I want fino ad arrivare alle più recenti Pretty fly e Why don’t you get a job?.

Chiudono con The kids aren’t alright,se non vado errato. Paura.

All’1.30 circa ci concediamo un’ultima birra e salutiamo il Groezrock con parecchia malinconia.

Ringrazio davvero tutti gli amici incontrati durante i due giorni di festival. Sapete chi siete, dalla Toscana a Trento, da Milano a Rotterdam. We are all we have tonite.

 

di Enri Gluesniffer

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